::16-22 giugno 2007::
Fatti, cronache, personaggi, interviste in diretta da Taormina dalla nostra corrispondente Maria Arruzza |
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martedì 19 giugno 2007
Terence Davies un outsider del cinema Il regista inglese Terence Davies ha tenuto la Lezione di cinema stamane subito dopo la visione del suo La casa della gioia, prodotto da Olivia Stewart che lo ha presentato agli allievi e al pubblico festivaliero, come di consueto numerosi a questi incontri con i grandi del cinema: “E’ stato detto che La casa della gioia è un film che rompe le regole del cinema. Ma non è vero. E’ solo un film che si concentra sull’esclusione di un individuo all’interno di una società. In questo caso la classe ricca. Non è nemmeno un film che parla di ricchezza, ma di quanto la ricchezza sia viziosa. Capisco bene cosa significa sentirsi esclusi. Sono un gay, un outsider, vissuto in un paese in cui per lungo tempo l’omosessualità era ritenuta un reato”. Ci tiene molto al discorso sui “diversi”, sugli “esclusi” ma sottolinea: “Io sono molto convenzionale, sono cresciuto in una famiglia cattolica e forse a causa dell’educazione religiosa, ho difficoltà a rompere gli schemi. Per questo mi sento molto vicino alle persone vittime delle regole sociali. Perché se mi dicono che non posso far qualcosa, soffro moltissimo, ma non la faccio. Il personaggio di Lily della Casa della gioia mi è per questo congeniale, perché so cosa significa sentirsi outsider”.Maniacale sul set (“Sposto la camera anche di un centimetro se occorre”), impulsivo nelle scelte (“Incontro personalmente i miei attori, al momento del casting, e mi basta uno sguardo per capire se lavorerò bene. Nel novanta percento dei casi non mi sbaglio”), deciso nelle idee (“Bisogna avere una visione totale del film. E’ questo il mestiere del regista”), Terence Davies sposta l’attenzione sull’istinto che lo guida da sempre: “Quando ho letto il romanzo di Edith Wharton, ho capito che era una storia meravigliosa, scritta in un inglese glorioso e subito ho immaginato le scene del film. Non è una mia regola fissa, ma spesso mi capita di vedere la sceneggiatura, di avere una scrittura narrativa per immagini, io la chiamo memoria emotiva, e solo dopo di scrivere i dialoghi. Non posso spiegare l’istinto, so che c’è, all’improvviso trovo le soluzioni, come? Non lo so davvero. Però funziona. Anche per questo è necessario che nel momento della scrittura del film si proceda verso un risultato emotivo, attraverso il ritmo della musica, ad esempio, o tramite i suoni di fondo, o anche col tono dei dialoghi. Quando ho lavorato alla Casa della gioia, ad esempio - ha concluso l’autore del raffinato Voci lontane… sempre presenti -, avevo la necessità di aggiungere dialoghi, ho cercato quindi di tenere lo stesso tono della scrittrice. Molti mi dissero che era difficile distinguere il momento di passaggio dai dialoghi originali e quelli scritti da me. E’ stato il complimento più bello, perché credo di avere ottenuto quel risultato emotivo che cercavo”. Infine ha annunciato che il suo prossimo lavoro sarà una commedia ambientata fra Londra e Parigi: “Mi piace il genere della commedia. Negli anni 40/50 era un genere che andava fortissimo in Inghilterra, con attori comici bravissimi, e attori drammatici abbastanza bravi. Oggi non ce ne sono più". Maria Arruzza Etichette: Lezioni di cinema Inserito da Maria Arruzza alle 1:22:00 PM0 Commenti: |
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